Pecorino sardo semistagionato forma con spicchio mancante

Il Pecorino Sardo: tipi, storia e particolarità

Il pecorino sardo è il formaggio più tipico della Sardegna, ma anche il formaggio ovino più diffuso in Italia insieme al pecorino romano, che è anch’esso un pecorino sardo. Parliamone!

Indice

Che cos’è il pecorino sardo

Il pecorino sardo è uno dei formaggi più tipici della Sardegna, fatto rigorosamente con latte di pecore di razza sarda, con una precisa lavorazione affinata nei millenni e immutata da secoli. È un formaggio a pasta dura o semidura e semicotto, che significa che dopo la cagliata la pasta di formaggio è stata scaldata a bassa temperatura, 43° al massimo.

In Sardegna il latte ovino è una grande risorsa economica: costituisce quasi il 60% della produzione nazionale. Da questo si produce un ampio assortimento di formaggi pecorini, molto apprezzati ed esportati all’estero, soprattutto in Nord America.

Il pecorino sardo è titolare della Denominazione d’origine dal 1991 e della Denominazione d’origine protetta (DOP) dal 1996. Non è l’unico formaggio ovino della Sardegna a fregiarsi del marchio: è in compagnia di Pecorino Romano che si, è prodotto principalmente in Sardegna e Fiore Sardo.

Della valorizzazione del pecorino sardo si occupa il Consorzio di Tutela, che ha sede a Cagliari e negli anni Novanta è stato lo sponsor principale del Cagliari CalcioQui puoi vedere le magliette, ormai vintage.

La DOP prevede due diversi tipi di pecorino sardo:

  • pecorino dolce
  • pecorino maturo
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Una fetta di pecorino sardo stagionato, con pasta compatta giallo paglierino. Foto: Shardan via Wikimedia

Pecorino sardo dolce

Il pecorino sardo dolce è un formaggio semistagionato, con un tempo di maturazione che va dai 20 ai 60 giorni. Ogni forma si aggira sui 2 kg di peso e, se DOP, è contraddistinta dal bollino verde.

Ha una crosta liscia, semidura, sottile, di colore bianco-paglierino tenue. Mentre la pasta invece è bianca, morbida e compatta o con occhiatura fine e uniforme. Il sapore è dolce e aromatico, leggermente acidulo.

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Pecorino sardo maturo

Il pecorino sardo maturo ha un tempo di stagionatura di almeno 2 mesi, ma generalmente si mangia dopo 4. Le forme pesano sui 3 kg, ma anche 4 kg, e nel caso di pecorino DOP sono contrassegnate da un’etichetta con bollino blu.

Il pecorino sardo stagionato ha una crosta liscia e consistente, semidura o dura, di colore paglierino tenue che si scurisce con il passare della stagionatura.

La pasta è bianca, un po’ più scura nelle forme più mature, compatta o con occhiatura fine e rada. È più consistente e granulosa di quella del pecorino dolce. Il gusto è forte e leggermente piccante.

Sono entrambi formaggi da tavola, ma il pecorino stagionato è ottimo anche come formaggio da grattugia, molto usato nella cucina sarda.

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 Pecorino sardo Girau. Foto: Jon Sullivan via Pixnio

Storia del pecorino sardo

La sua origine è antichissima, dobbiamo andare addirittura agli albori dell’era nuragica, quando l’allevamento della pecora sarda divenne il mezzo di sostentamento principale nell’isola.

Durante il periodo romano,  la Sardegna era il più importante centro di produzione di grano. I grandi disboscamenti per far spazio alla coltivazione del cereale crearono le condizioni per la nascita di ampie zone di pascolo e grazie anche alle condizioni climatiche favorevoli, nei secoli successivi l’allevamento ovino si diffuse largamente.

Il formaggio sardo oltrepassa il mare da millenni. Era presente sulle tavole dei nobili romani e durante il periodo dei Giudicati ne venivano esportate diverse varietà, tra le quali: il Sardesco, il formaggio di Arborea, il formaggio di Torres e il formaggio di Gallura.

In documenti storici della fine del Settecento si parla di formaggi ovini sardi: i bianchi, la fresa, lo spiatatu, rossi fini e gli affumicati. Gli ultimi due possono essere considerati gli antenati del pecorino sardo e si producevano con latte crudo o termizzato in modo molto particolare: con l’immersione di pietre arroventate all’interno del latte ovino.

Nell’Ottocento la produzione casearia della Sardegna assunse dimensioni industriali. Sorsero addirittura dei centri per la lavorazione e la stagionatura, che producevano esclusivamente per l’esportazione in America del Sud e del Nord. Si chiamavano caselli.

Il metodo di produzione del pecorino si è adattato al passare degli anni, ammodernandosi nelle tecniche e negli strumenti, ma mantenendo comunque una forte impronta tradizionale. Le innovazioni principali sono avvenute nella seconda metà del Novecento, dagli anni ’60, quando furono introdotti utensili più pratici per misurare la temperatura e filtrare il latte.

Per via della commercializzazione, non solo a livello regionale e nazionale, sono inoltre fortemente migliorate le condizioni igieniche di trattazione e sono stati razionalizzati i trattamenti termici, i tempi e le modalità di semi-cottura della cagliata.

 

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Pecorini sardi in esposizione. Foto: Shardan via Wikimedia

Come si fa il pecorino sardo?

Per pecorino sardo s’intende un prodotto caseario preciso, diverso da altri formaggi di pecora prodotti nell’isola, come il fiore sardo o il pecorino romano. La materia prima è la stessa, ma la lavorazione fa la differenza.

Fare il pecorino sardo non è complicato, ma richiede esperienza. La difficoltà principale sta nel rispetto dei tempi, delle temperature e soprattutto delle dosi, che possono comunque variare a seconda dei gusti propri e dei clienti. Tutte abilità che si affinano con la pratica.

Ma ecco come si fa il pecorino sardo secondo il procedimento tradizionale!

Innanzitutto le pecore devono vivere in stato semibrado, all’aperto per la maggior parte del tempo, e brucare soprattutto erbe spontanee. Un’alimentazione che rende il latte saporitissimo e sempre diverso, a seconda della stagione e del luogo e può essere integrata, quando necessario, con foraggi e mangimi.

pecorino-sardo-forme-mercatoPecorino sardo di vari tipi su un banco del mercato. Foto: Jessica Spengler via Wikimedia

 

Ingredienti del pecorino sardo:

• Latte di pecora di razza sarda
• Caglio
• Sale
• Eventuali fermenti lattici

Nel metodo tradizionale, il caglio (su callu) è quello estratto dallo stomaco di capretti, agnelli o vitelli da latte. Il disciplinare della DOP prevede però unicamente il caglio di vitello.

Il latte deve essere intero, ma può essere sia crudo che pastorizzato, come avviene nella maggior parte dei caseifici.

Procedimento tradizionale per il pecorino sardo:

Il latte di pecora, una volta munto, viene generalmente messo all’interno di contenitori in acciaio. A questo punto viene versato all’interno di un contenitore di rame di grandi dimensioni, detto caddargiu, filtrandolo con l’aiuto di un panno bagnato.

Il passo successivo è portare il latte a una temperatura compresa tra i 35 e i 39 gradi. Durante la cottura, il pastore solitamente gira il latte di tanto in tanto con un mestolo in legno di erica corbezzolo, detto sa moriga.

Una volta che il latte è arrivato alla temperatura giusta, si aggiunge il caglio per far partire la coagulazione. Poi su caddargiu viene tolto dal fuoco e lasciato riposare per circa venti minuti con sopra un panno.

A questo punto si è formata la cagliata, che viene rotta mescolandola con sa moriga e ridotta a granuli di misura diversa a seconda del tipo di pecorino.

Ora il composto va scaldato di nuovo sino ad un massimo di 43°, per ottenere un formaggio a pasta semicotta. Raggiunta la temperatura, si toglie su caddargiu dal fuoco e si fa riposare il tutto coperto per una decina di minuti.

Ora si è formata la pasta di formaggio, che viene divisa a seconda del numero di forme che si vogliono ottenere. Queste fette vengono messe all’interno di contenitori forati detti giscos o aiscos e vengono pigiate con le mani per fae fuoriuscire il siero (su suru). È così che il formaggio acquista la sua caratteristica forma.

Passate 6-7 ore, il formaggio viene cosparso di sale per evitare che si inacidisca. Il giorno successivo viene lavato e messo ad asciugare in un luogo fresco e asciutto sopra delle tavole di legno, dove proseguirà la stagionatura.

Durante questo periodo il formaggio viene periodicamente unto per evitare che la crosta si spacchi, generalmente con olio d’oliva.

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Una fetta di pecorino sardo maturo sul tagliere. Foto: Helge Hoifodt via Wikimedia
 

Sino a qualche decennio fa i pastori facevano il formaggio accanto al luogo di mungitura, generalmente all’interno di un rifugio tradizionale chiamato barraccu o pinneto, il loro unico riparo nei periodi trascorsi in aperta campagna. Prima della diffusione del termometro erano soliti misurare la temperatura affidandosi all’esperienza e all’intuito, immergendo nel latte il dito indice oppure la mano o il gomito.

Non esisteva il concetto di pastorizzazione del latte, ma d’altra parte non c’era molto tempo per eventuali contaminazioni: il latte era davvero freschissimo. Poi i naturali processi fermentativi e l’acidificazione facevano la loro per creare la giusta flora microbica. E se qualcosa andava storto, i pastori erano solitamente in grado di capirlo dall’aspetto e dall’odore del formaggio.

Oggi nei procedimenti industriali il latte si pastorizza il latte prima della caseificazione. Per compensare la morte dei microrganismi utili naturalmente presenti, si aggiungono fermenti lattici tipici della zona di origine, variabili ma sempre della specie streptococcusthermophilus. Per il resto il metodo usato nei caseifici ricalca quello tradizionale ma prevede l’uso di attrezzature moderne e locali con precisi requisiti igienico-sanitari.

In genere, il siero che si è formato in seguito alla lavorazione del formaggio si usa per fare la ricotta. Il procedimento è questo: il siero si scalda nuovamente esi aggiunge un po’ di latte e sale, che permette alla ricotta di salire in superficie.

Per evitare che il composto si attacchi bisogna mescolare in continuazione. Finché, quando arriva a circa 90°, compare la ricotta.

A questo punto si può abbassare la temperatura e con una schiumarola – in sardo turra stampada, ispumadora o piscaiola – la ricotta viene raccolta e disposta in un contenitore.

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Differenza tra Pecorino Sardo e Pecorino Romano

Il pecorino sardo è un formaggio da tavola e da grattugia, mentre il pecorino romano si usa principalmente grattuggiato sopra piatti tipici della cucina romana. Anche per questo il sardo ha una stagionatura media più breve, di 2-4 mesi, contro i 5-8 del romano. Il pecorino sardo è meno salato e ha un sapore e una consistenza che lo collocano a metà strada tra il pecorino romano e il parmigiano.

Entrambi i formaggi sono prodotti con latte di pecora di razza sarda, ma non solo in Sardegna, visto che una certa percentuale di pecore sarde è emigrata nella penisola insieme ai pastori. Nonostante il nome, il pecorino romano viene prodotto per il 97% in Sardegna, per il resto in Toscana e nel Lazio, dove i pastori hanno recentemente chiesto la cancellazione della DOP perché favorirebbe i produttori della Sardegna.

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Pecorino sardo dolce poco stagionato.

 

I due pecorini hanno metodi di produzione simili che però lavorano a temperature diverse. Inoltre durante la preparazione del pecorino sardo la pasta di formaggio viene pressata a lungo per far fuoriuscire la maggior parte del siero, operazione non prevista nel caso del pecorino romano. Anche la forma si differenzia: il pecorino sardo è leggermente più schiacciato del romano.

Differenze tra Pecorino Sardo e Fiore Sardo

Partiamo dalla differenza più evidente, a occhi, naso e bocca: il fiore sardo è affumicato, mentre il pecorino sardo segue una normale stagionatura al fresco.

Altra differenza è che il pecorino sardo si può anche fare con latte pastorizzato, mentre il fiore sardo è rigorosamente un formaggio a latte crudo. Il formaggio più semplice che i pastori potessero realizzare direttamente nell’ovile.

Ma passiamo alle differenze per i più esperti: il pecorino sardo è un formaggio a pasta semicotta, mentre il fiore sardo è a pasta cruda. Nei formaggi a pasta semicotta, la cagliata viene rotta e poi nuovamente riscaldata a bassa temperatura, mentre in caso di pasta cruda si passa direttamente alla formatura del formaggio.

Insomma, il pecorino sardo ha una lavorazione leggermente più complessa e si adatta meglio alle lavorazioni in caseificio, mentre il fiore sardo resta un tipico formaggio dei pastori, un cosiddetto formaggio fermier.

Come usare il pecorino sardo in cucina

Il pecorino sardo viene spesso usato negli antipasti sardi o tra il secondo e la frutta. Ed è sempre presente nei taglieri di salumi o di formaggi che si preparano in Sardegna per l’aperitivo.

Si presenta il più delle volte in compagnia di carasau o fette di civraxiu o moddizzosu, spesso accanto a salumi e un bel bicchiere di vino rosso. A volte ci sono anche confetture, composte o miele sardo.

Il pecorino sardo grattugiato può completare praticamente tutti i primi della cucina sarda e italiana. Difficile pensare ai classici ravioli sardi al sugo della domenica, ai malloreddus e tutti gli gnocchetti sardi, senza il pecorino sardo.

Il pecorino fresco si usa anche nel ripieno dei ravioli in alternativa alla ricotta.

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