Sfoglie di carasau o pane fresa su tagliere

Carasau: sfoglie croccanti di pane

È quasi impossibile non aver mai sentito parlare del carasau o pane ‘e fresa (o fressa), il pane sardo sottile e croccante originario della Barbagia, il pane dei pastori, la cui fama e bontà è andata ben oltre le sponde della Sardegna.

Nel 2017 il carasau è addirittura entrato nel dizionario italiano Zingarelli, con questa definizione: “tipo di pane sardo a forma di disco molto sottile e croccante, adatto a essere conservato a lungo. Provenienza: dal sardo carasare, cioè tostare. Perché dopo la cottura si ripassa nel forno.” (Fonte: Ansa).

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Sfoglia di pane carasau al centro della tavola
Sfoglia di pane carasau. Foto: Shardan via Wikimedia
 

Carasau o fresa: cos’è?

Il carasau (o carasatu, carasadu, crasau), conosciuto anche come carta da musica, si prepara con semola di grano duro, lievito naturale e acqua. Ciò che rende caratteristica la sua preparazione è la doppia cottura al forno: durante la prima infornata il disco si gonfia creando due sfoglie che vengono rinfornate separatamente e “carasate” (tostate o biscottate). È proprio la tostatura che lo trasforma in un prodotto saporito, croccante e a lunghissima conservazione.

Lo stesso metodo si usa anche per preparare altri pani tipici della Sardegna, come il pistoccu. La differenza fondamentale col pistoccu sta nello spessore: mentre per il pistoccu è sui 3-4 mm, per il carasau è solo di 1 mm. Inoltre, il pistoccu spesso contiene patate nell’impasto e solitamente viene bagnato con acqua prima di essere consumato (pistoccu ammoddiau, infustu), mentre il carasau il più delle volte viene consumato asciutto (a trocheddu, arridu).

Le sfoglie del carasau si possono mangiare anche morbide, non biscottate. Si parla in questo caso di pane lentu (o pane modde, pane cruu) simile alla piadina ma molto più sottile, facile da farcire perché è doppio, una sorta di tasca pronta ad ospitare i condimenti.

Oggi vengono tenute come pane lentu le forme che non si gonfiano, mentre tempo fa una parte della produzione del carasau era tenuta a lentu per il consumo immediato. Questo procedimento avviene anche con il pistoccu ogliastrino: una piccola parte della produzione, chiamata pistoccu modde, viene consumata il giorno stesso.

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Origine del carasau, pane dei pastori

È difficile risalire alle origini del carasau. Secondo alcuni ritrovamenti archeologici, già nell’età del bronzo veniva prodotto un tipo di pane simile, ma probabilmente non lievitato. Tra le popolazioni nuragiche era infatti diffusa la coltivazione di cereali di vario tipo, come grano tenero, duro e orzo.

Assieme al pistoccu, il carasau è il pane dei pastori per eccellenza, proprio in virtù dei suoi lunghissimi tempi di conservazione. Fino agli anni ‘60, il lavoro del pastore costringeva gli uomini ad effettuare la transumanza, abbandonando le case per interi mesi, da novembre fino a maggio, per portare le greggi in zone dal clima più mite: le pianure del Campidano, o le coste più vicine.

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Sfoglie croccanti di pane fresa. Foto: Shardan via Wikimedia
 

Così le donne sarde crearono un pane che potesse mantenere le proprie caratteristiche nel tempo. D’altronde è risaputo che la necessità è la madre delle migliori invenzioni! Non è un caso se nelle zone sarde di montagna prevalgono i pani biscottati mentre in pianura e collina sono più diffusi quelli morbidi e voluminosi come civraxiu e coccoi.

Nei duri mesi di lavoro nei pascoli, i pastori lo gustavano insieme a cibi semplici, come ricotta, formaggio, lardo o prosciutto, utilizzando le sfoglie come piatto…da mangiare a fine del pasto.

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Come si fa il pane carasau: un rituale antichissimo

Sa cotta è il nome tradizionale della preparazione del carasau, un procedimento che si è mantenuto sostanzialmente inalterato sino ai nostri giorni, ma si è spostato dalle case ai panifici professionali.

Fino alla metà del secolo scorso sa cotta era un vero e proprio rituale, faticoso ma all’insegna della condivisione e dell’aiuto reciproco. Alla lavorazione prendevano parte diverse donne, di solito parte della famiglia o vicine di casa, che spesso si scambiavano favori (agiudu torrau) e doni (olio, formaggi o altri prodotti alimentari). Nelle famiglie più abbienti non era rara la partecipazione di una panificatrice esperta, retribuita in denaro dalla padrona di casa.

La preparazione cominciava alle prime luci dell’alba, quando le donne si riunivano per impastare semola di grano duro con lievito madre (framentu) e acqua, all’interno di grandi contenitori in legno chiamati scivus o lacus. Questa prima fase, chiamata s’inthurta, è un lavoro che richiede molto tempo ed energia, perché bisogna continuare a lavorare la pasta fino a che non si ottiene un composto solido, dalla superficie liscia.

Dopo la lavorazione l’impasto viene riposto nei contenitori in terracotta (scivedda, tianu, impastera) e lasciato riposare per alcune ore. È il momento della prima lievitazione (o lievitazione in massa). Quando ha raddoppiato il suo volume, l’impasto si taglia in pezzi tutti uguali, poi pressati con un mattarello fino ad ottenere delle sfoglie sottilissime (2 o 3 millimetri) del diametro di circa 40 centimetri, chiamate tundas.

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Il panetto viene sgonfiato per poi essere aperto in due sfoglie morbide.
 

I dischi vanno infornati a temperature altissime (450-550 gradi) per ottenere un rigonfiamento istantaneo della sfoglia, che diventa una sorta di palla un po’ schiacciata. A questo punto si estrae il pane dal forno e si fa sa fresadura, cioè si separa la sfoglia superiore da quella inferiore con l’aiuto di un coltello affilato. In sardo esiste anche una parola apposita per definire la persona incaricata di compiere questa operazione importantissima: sa fresadora. Questa doveva stare attentissima a separare gli strati senza romperli, ottenendo 2 sfoglie quasi uguali (pizos).
Ecco perché questo pane si chiama anche pane ‘e fresa, o anche solo fresa, o fressa.

Successivamente i diversi fogli vengono impilati e lasciati raffreddare, avendo cura di separarli con dei panni di lino. La fase finale, la “carasatura” (carasadura) che dà il nome al pane, può ora iniziare. Le sfoglie di pane vengono rimesse in forno così che potessero dorarsi e assumere quella loro consistenza leggerissima. Questa biscottatura è nata per una ragione pratica, ovvero conservare il pane più a lungo, ma ha il piacevole effetto collaterale di rendere il pane croccante e più saporito.

Con gli anni, alla ricetta tradizionale sono stati aggiunti sale e spesso lievito di birra (a cui deve seguire però una lunghissima lievitazione, di almeno sei ore). Nonostante questo però, vi sono ancora alcune famiglie che preparano il pane carasatu nelle proprie case seguendo il procedimento originale, un rituale antico tramandato di generazione in generazione.

In questo prezioso documentario del regista Fiorenzo Serra, potrete ammirare la lavorazione casalinga del pane croccante dei pastori, come avveniva ancora nel 1962 ad Oliena (dal minuto 2:58).

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Pane carasau: Ricetta

Se hai deciso di preparare in casa il pane carasau, sei nel posto giusto! La ricetta è qui in basso, mentre qui trovi un video di Sardegna Digital Library che mostra le diverse fasi della lavorazione, per capire meglio il procedimento ed entrare nel giusto mood!

La ricetta non è troppo difficoltosa, ma richiede un po’ di tempo e pazienza.

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Il panetto gonfio e pronto per sa fresadura, da cui si ricaveranno due sfoglie di pane morbido

Ingredienti:

• Semola di grano duro rimacinata 1kg
• Pasta madre solida 180 g (oppure lievito di birra 15 gr)
• Acqua 480 g
• Sale 10 g

Procedimento:

Sciogliete la pasta madre oppure il lievito di birra in una ciotola con un filo d’acqua tiepida. Versate il sale nell’acqua e mescolate, per poi unire i due composti liquidi alla farina. Impastate energicamente fino a quando non otterrete un composto senza grumi. Potrete quindi dividere l’impasto in diversi panetti e lasciarli lievitare a lungo, per almeno 3 ore.

Riprendete i dischi e stendeteli, uno alla volta, fino ad ottenere delle sfoglie sottilissime di spessore, che sistemerete una per una in delle teglie precedentemente infarinate con la semola.

Infornateli quando il forno avrà raggiunto la massima temperatura, fino a quando la pasta non si gonfierà.

Estraeteli dal forno e separate la sfoglia inferiore da quella superiore.

Eseguite questo procedimento per ogni panetto ottenuto e, infine, potrete procedere alla carasadura, infornando nuovamente le sfoglie sottili ad una temperatura di 180° per circa 7-8 minuti.

Consiglio: Se condite la sfoglia di carasau con l’olio d’oliva e un pizzico di sale, per poi farla grigliare per qualche minuto, otterrete il famoso pane guttiau!

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Come si mangia il pane carasau?

Il pane carasau si mangia abitualmente così com’è: si mette al centro della tavola in modo che ognuno dei commensali possa spezzare i grandi fogli tondi un po’ alla volta. Nelle zone d’origine molti preferiscono portarlo in tavola inumidito e morbido.

Ma gli altri sardi che lo conoscono da abbastanza poco e i turisti lo mangiano più spesso in versione croccante. Nei ristoranti si presta molto ad essere spizzicato in attesa dei piatti e per questo in Sardegna ha sostituito i grissini in quasi tutti i locali.

Il carasau bagnato si può anche usare per preparare delle merende dolci veloci. Quella più semplice e antica si realizza semplicemente cospargendolo con un po’ di zucchero. Ma oggi va per la maggiore spalmarci sopra della crema alla nocciola commerciale e farne dei rotolini.

L’idea di base non è male: si potrebbe migliorare farcendo i rotoli di carasau con marmellate di qualità o frutta cotta e magari un po’ di frutta secca, a mo’ di strudel. O perché non piegare semplicemente i fogli inumiditi in 2 o 4 per realizzare delle simil-crepes?

Questi sono gli usi più semplici ed immediati del carasau o fresa, che però si usa anche in alcune ricette leggermente più elaborate, sino a diventare un primo piatto. O meglio un piatto unico ricco di ingredienti molto sostanziosi.

Ecco qui sotto le più tipiche ricette con pane carasau!

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Ricette con pane carasau

Il pane carasau si presta a molte ricette facili e veloci: si adatta a un’ampia varietà di condimenti.

Un piatto molto diffuso è su pane frattau, una sorta di lasagna di pane in cui le sfoglie di carasau si alternano a sugo di pomodoro e pecorino. Poi, per chiudere in bellezza, ci si appoggia sopra un uovo al tegamino. Le varianti sono infinite e capita che alcuni paesi cerchino di far passare la loro per una ricetta originale.

Un altro piatto simile è la zuppa gallurese o supa cuata, che prevede brodo di carne per ammorbidire il carasau, più spesso di pecora, abbondanti spolverate di pecorino e a piacere anche fette di formaggio fresco. Si può anche passare in forno per far dorare in superficie.

Zuppa di pane carasau e formaggio pecorino con sugo
Supa cuata o zuppa gallurese. Fonte foto: Gianni Careddu via Wikimedia Commons
 

Un’altra ricetta è il pane guttiau: una sfoglia di carasau viene bagnata con un po’ di olio di oliva, cosparsa di sale e leggermente abbrustolita nel forno o alla griglia, sopra le braci ardenti di un camino. Si trova anche già pronto in vendita.

Con il pane carasau è possibile anche realizzare delle lasagne fredde. Basterà infatti inumidire leggermente i fogli di pane e disporle in strati in una pirofila con pomodorini freschi, ricotta, olio e basilico.

Porzione di pane frattau, lasagna di carasau con in cima il classico uovo
Una porzione di pane frattau con in cima il classico uovo. Foto: Luca Nebuloni via Wikimedia
 

Il carasau può essere aggiunto alle insalate al posto dei più convenzionali crostini, per renderle più gustose e croccanti. Puoi comprarlo su Amazon.
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