Maialetto sardo o porceddu arrostito allo spiedo

Maialetto sardo alias Porceddu

Cibo dei giorni di festa per i sardi, amatissimo dai turisti, il maialetto sardo ha conquistato i palati di tutt’Italia, diventando il piatto di Sardegna più conosciuto oltremare. Nell’isola si chiama in tanti modi, ma lo si prepara sempre nello stesso.

Di cosa parliamo in questa pagina:

Indice

Che cos’è il maialetto sardo?

Il maialetto sardo, noto porceddu, non è un maialino qualunque ma un maialetto da latte di razza sarda di 5-6 chili di peso, cotto rigorosamente allo spiedo e a legna. La sua bontà dipende moltissimo dall’abilità dell’arrostitore. Solo con tanta pazienza e una cottura lenta e prolungata potrà ottenere quel mix di croccantezza e “scioglievolezza” che rende il porcetto sardo irresistibile per qualunque onnivoro.

Il maialino sardo deve nutrirsi quasi esclusivamente di latte materno e al massimo di un po’ di erbe e cereali e non può superare i 9 chili di peso. È un prodotto tradizionale di Sardegna riconosciuto ufficialmente – un PAT – compresa la cottura allo spiedo a fuoco vivo, fondamentale per ottenere un porcetto sardo perfetto.

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Maialetto sardo arrostito accanto al fuoco. Foto: Japs88 via Wikimedia
 

Storia e origine del porceddu

Probabilmente l’idea di mangiare il maialino da latte è arrivata in Sardegna grazie all’influenza della Spagna, che per oltre 200 anni (dal 1479 al 1713) ha controllato l’isola.

In Castiglia, infatti, il maialino è ancora uno dei piatti tradizionali, sebbene venga preparato in modo diverso rispetto al nostro porceddu. La cottura, in Spagna, viene fatta al forno e la carne viene condita con diversi ingredienti come carote, cipolle e sedano. Sappiamo benissimo che invece in Sardegna il maialetto si prepara allo spiedo. E questo è uno di quei dogmi che sarebbe meglio non contraddire mai!

Come si chiama il maialetto in sardo?
Proxeddu, porcheddu, porcetto, proceddu, copieddu, pulceddu.

E porceddu?
Gira voce che questa parola sia solo un’invenzione dei turisti, un ricordo forse alterato dall’abbondante vino rosso con cui si accompagna il porcetto. Noi non ne siamo così sicuri.

Questo che oggi consideriamo uno dei piatti simbolici dell’isola, fino a cinquant’anni fa era un alimento di lusso, una prelibatezza che ci si poteva permettere solo una volta ogni tanto. Le famiglie che possedevano maiali in casa cercavano infatti di non uccidere mai un maialetto da latte, poiché sarebbe significato perdere una potenziale ricchezza futura. Dalla carne del maiale adulto (su mannale) si potevano infatti ottenere diversi prodotti, come il sanguinaccio, lo strutto, le salsicce, i prosciutti, le spalle ed altri tipi di insaccati. Poteva concedersi il lusso di sacrificare un animale di qualche mese solo chi possedeva allevamenti più grandi o aveva più risorse economiche.

Una piccola curiosità che forse non tutti conoscono è che fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, l’uccisione del maialino comportava l’esecuzione di un rituale. Appena ucciso il piccolo porcetto, si conservava il suo sangue che poi veniva cosparso sulla sua pelle prima della cottura. Prima di procedere con questa operazione, però, si bruciavano le setole e si puliva con cura con l’aiuto dell’acqua calda. Ormai questa antica tradizione è andata perduta, abbandonata forse anche per motivi igienico-sanitari.

il maialetto arrosto alla sarda è solo uno dei più di 200 prodotti sardi riconosciuti.

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Maialetto ben cotto. Foto: Ritae via Pixabay
 

Il maialetto sardo sottoterra: su porceddu a carraxiu

Nelle zone di montagna il maialino sardo non veniva cucinato solo di fronte al fuoco vivo: talvolta, i pastori sardi cuocevano il porceddu a carraxiu, ovvero il maialetto sottoterra.

Ma com’è possibile cucinarlo sottoterra?

In pratica veniva creata una sorta di forno sotterraneo: il porcetto veniva messo all’interno di un fosso, sopra alcune foglie di felce e vari rami di piante aromatiche, tra cui ginepro e lentisco, in modo che non toccasse terra. Sopra il maialino, per proteggerlo, veniva disposto un altro strato di felci, erbe aromatiche varie e delle pietre incandescenti. Successivamente veniva coperto con un po’ terra e veniva acceso un fuoco.

Il procedimento di cottura era lunghissimo, anche 6-7 ore, ma il risultato finale era spettacolare: la carne diventa tenerissima e molto gustosa. Ancora oggi, in vari posti puoi trovare agriturismi o ristoranti che utilizzano anche questo metodo di cottura, oltre al classico maialetto arrosto.

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La preparazione del maialino sardo allo spiedo

La cottura tradizionale del maialetto alla sarda avviene davanti a un bel fuoco. Per accendere il fuoco si usano delle frasche secche, appositamente preparate. Poi si utilizza legna fine, in modo che si creino subito le braci (sa brexa in sardo) che emanano un calore forte e costante. In seguito, per fare in modo che il fuoco “tenga”, va aggiunta legna più grossa.

Prima dell’arrivo del girarrosto elettrico, il porceddu veniva messo intero nello spiedo (in sardo si dice bestire sa petha, letteralmente: vestire la carne) e disposto davanti al fuoco  in verticale o in orizzontale. Di tanto in tanto andava girato per fare in modo che la cottura fosse omogenea in tutte le parti. Deve essere girato sempre in direzione del fuoco, mai in quella opposta.

La cottura in verticale è ancora tipica di molti paesi del centro Sardegna. Nella maggior parte dell’isola viene però utilizzato il girarrosto elettrico o a batteria, un oggetto immancabile, che molti sardi si fabbricano da sé con pezzi di macchine rottamate.

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Porcetti sardi allo spiedo: si prepara una grande cena. Foto: Roberto Ventre via Flickr
 

La preparazione del maialino sardo allo spiedo è sacra: bisogna fare in modo che il peso sia ben distribuito nello spiedo (spidu, ispidu, schidoni, schironi a seconda della zona). L’arte di saper “vestire” la carne è data dall’esperienza e dalla pratica. A volte il maialetto viene tagliato in 3 parti, per facilitare il processo.

La durata della cottura cambia, ci sono in gioco diverse variabili: la dimensione dell’animale, la temperatura esterna, le dimensioni del fuoco. È una vera e propria arte.

È importante saper tenere il fuoco vivo, con una fiamma costante, non troppo grande ma neanche troppo tenue. Bisogna fare in modo che vada di pari passo con la cottura del maialino e che il calore arrivi omogeneamente in tutte le parti della carne. Se è troppo forte e il proceddu troppo vicino, la carne si cucinerà troppo esternamente e poco all’interno (in sardo “apprettare sa petha”, letteralmente: mettere fretta alla carne).

La cottura deve infatti essere lenta. Questa fase ha anche un significato dal punto di vista sociale: solitamente è accompagnata da racconti, discussioni e magari qualche bicchiere di vino, rigorosamente rosso. D’altronde possono volerci anche 3 ore e mezzo prima che sia pronto, e in qualche modo bisogna occupare il tempo!

Verso metà cottura viene messo il sale (salìre sa petha): la quantità dipende dalla grandezza del porcetto e dal gusto personale (e degli altri invitati). Le parti con più polpa, come le cosce e le spalle, hanno bisogno di una maggiore quantità, mentre in quelle più fini (come le costole) è meglio non abbondare troppo.

Per capire se è pronto, il maialetto viene punto con un coltello ben appuntito (o uno spiedino) nei punti più critici (quelli più interni, dove è più difficile che arrivi il calore del fuoco) per qualche secondo. Successivamente si estrae il coltello e si poggia sul polso (o sul braccio, a seconda di come si è abituati): se è molto caldo, quasi scottante, allora è pronto. Il colore della carne deve essere bianco, mai rosaceo: in tal caso non è ben cotto e mangiarlo potrebbe essere pericoloso.

A questo punto viene adagiato su un tagliere di legno o di sughero (su taxeri o taggeri) e servito così com’è, senza l’aggiunta di alcuna spezia. Ma sempre più spesso lo si vede anche decorato da ramoscelli di mirto, usanza nata forse a scopo folkloristico, ma interessante anche dal punto di vista olfattivo e gustativo.

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Il maialetto sardo servito come da tradizione sul tipico tagliere in sughero. Foto: Cristiano Cani via Flickr
 

Anche il tagliare la carne non è casuale: va prima “aperta” la spalla e le costole vanno divise a metà e tagliate a due a due. La cotenna del maialetto sarà croccante e molto saporita, una delle parti più distintive. Anche le orecchie sono particolarmente prelibate, per via della loro consistenza e croccantezza e spesso, soprattutto tra i bambini, si scatenano veri e propri dibattiti per poterle avere. Anche le costolette del maialetto sono molto ambite: se non ti sbrighi, nel giro di pochi secondi sono già finite!

Il maialetto è ottimo anche freddo, anzi, alcuni lo preferiscono. Perciò, se ne dovesse avanzare – difficile ma possibile – non vi preoccupate: anche a freddo conserva un ottimo sapore!

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Come cucinare in casa il maialino sardo al forno

Cucinare il maialetto con lo spiedo, di fronte al fuoco vivo e alle braci, è sicuramente il metodo migliore per ottenere il massimo da questa leccornia. Tuttavia, il mondo, la società ed insieme ad essi anche le nostre case cambiano ed a oggi non sembra un “lusso” che tutti possono permettersi.

Sarete però lieti di sapere che potreste ottenere un risultato che non sfiguri anche eseguendo una cottura al forno, se vi presterete adeguata attenzione! Ecco la ricetta:

Ingredienti:

• Mezzo maialetto sardo
• Alcuni rametti di mirto
• Sale
• 1 bicchiere d’olio d’oliva o strutto (servirà a ungere la cotenna nel corso della cottura)

Procedimento:

1. Come prima operazione è necessario preriscaldare il forno a una temperatura di 180 gradi.

2. Successivamente ungete la pelle del maialetto con l’olio extravergine e, con l’aiuto dello spiedo, realizzate dei piccoli buchini sulla cotenna in modo che il grasso possa riuscire a penetrarvi.

3. Sistemate e salate la carne sulla griglia dal lato delle costole, che appoggerete sulla teglia da forno, in modo che quest’ultima possa raccogliere i succhi. Cuocete a 180 gradi per venti minuti.

4. In seguito dovrete abbassare la temperatura a 160 gradi, per poi girare la carne con le costole rivolte verso l’alto. Lasciate cuocere per altri 20 minuti.

5. A questo punto dovrete girare ancora una volta la carne con la pelle rivolta verso l’alto e ultimare la cottura, lasciandola nel forno per altri 40-60 minuti. A dieci minuti dalla fine, portate la temperatura del forno a 190 gradi.

6. Assicuratevi che il maialino sia ben cotto, servitevi di un coltello ben appuntito e affondatelo nella cotenna del cosciotto. Se sentirete il coltello scottare e se dalla carne non uscirà nessun liquido trasparente, allora significherà che il vostro porceddu è pronto! Ricordatevi che la cotenna deve necessariamente essere ben croccante e mai e poi mai deve risultare molliccia!

7. Tagliatelo grossolanamente in pezzi e disponetelo su un piatto da portata, preferibilmente di sughero. Decoratelo con qualche ramoscello di mirto e servite. Ricordate che il porcetto è ottimo se accompagnato con un bicchiere di cannonau!

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Trancio di porceddu, croccante fuori e morbido dentro.
 

Il maialetto sardo vietato: perché?

A causa della peste suina, il porcetto sardo per lunghi periodi non è stato commercializzato al di fuori dei confini isolani. Questo problema è emerso soprattutto in occasione dell’EXPO, quando in principio venne negata la possibilità di portare il maialetto e tutti i prodotti legati alla carne suina sarda in generale.

ln Sardegna il primo caso di peste suina fu registrato nel 1978 e nel marzo dell’anno successivo la Comunità europea vietò l’esportazione di suini vivi, carni fresche e salumi prodotti nell’isola.

Nel novembre del 2011, in seguito a un breve periodo nel quale venne permessa l’esportazione delle carni macellate e dei salumi al di fuori della Sardegna, la Comunità europea istituì nuovamente il divieto assoluto di esportazione di qualsiasi prodotto legato alle carni suine sarde. Nell’ottobre del 2014 questa decisione venne prorogata di altri 4 anni.

Nell’aprile del 2015 la Regione Sardegna e il Ministero della Salute firmarono un protocollo d’intesa che prevedeva l’invio di maialetti precotti per l’Expo 2015. Nel documento era inoltre prevista la degustazione esclusivamente all’interno della manifestazione. Perdipiù, nel documento era previsto che le carni non consumate dovessero essere smaltite in loco o rimandate in Sardegna.

Al termine della parentesi milanese ritornarono i rigidi divieti contro le carni suine sarde, ma nel dicembre 2015, al termine di mesi di contrattazione tra Regione e Ministero della Salute, arrivò il via libera per la commercializzazione del porcetto termizzato anche al di fuori della Sardegna. Il maialetto sardo termizzato viene precotto ad una temperatura di 80 gradi al cuore e può essere esportato anche oltremare, a patto che arrivi da allevamenti certificati.

Una vittoria per tutti: per gli allevatori sardi, che vedono ampliato il loro mercato, e per i consumatori, che hanno la certezza di poter consumare prodotti genuini e controllati.

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