Al termine dei succulenti pranzi sardi dei giorni di festa e dopo il caffè, arriva il sacro momento del digestivo. A questo punto spesso compare sulla tavola un prodotto di nicchia, spesso confezionato in casa: l’acquavite sarda.
Qui parliamo di:
Cos’è il fil ‘e ferru?
L’abbardente è un distillato di vinacce incolore, con un profumo forte e inconfondibile. La gradazione si attesta generalmente tra i 40 e i 55°.
In genere viene aromatizzata con varie essenze tipiche dell’isola: fiori di corbezzolo (aithu), genziana (ansiana), finocchietto selvatico (mata faua), ecc.
Le vinacce sono molto selezionate: secondo gli esperti, l’acquavite di maggior qualità è quella ottenuta dalle vinacce di Vernaccia. Le zone di maggior produzione sono il Montiferru (in particolare Santu Lussurgiu) e l’Ogliastra (in particolare nella parte meridionale, Tertenia e Jerzu).
In certe zone, per abbardente si intende il distillato di vino anziché quello di vinacce.
Con la grappa sarda si possono preparare le deliziose ciliegie sotto spirito, aromatizzare le zeppole e altri dolci sardi.
L’acquavite, mirto e limoncello, possibilmente artigianali, sono i tre digestivi sardi classici che non mancano mai nei ristoranti del’isola.
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Differenza tra fil ‘e ferru e grappa
Ad essere precisi, l’acquavite sarda è un tipo di grappa, ovvero un distillato di vinacce. Queste sono ciò che resta dell’uva dopo la spremitura per fare il vino: acini d’uva senza polpa.
Acquavite è un termine impreciso: indica in generale un prodotto ottenuto tramite distillazione. Per fare un esempio, anche il whisky è un’acquavite, essendo un distillato di cereali, o la vodka (di patate) e il brandy (di vino).
Perché si chiama filu ‘e ferru e abbardente?
In sardo:
abbardente, abbardenti, acuardenti, acuadrenti (a seconda della zona).
fil ‘e ferru o fil ‘e ferru
In italiano:
acquavite, grappa sarda
Il nome filu ‘e ferru (contrazione di filu de ferru) ha alle spalle una storia molto curiosa, fatta di contrabbandieri e segreti!
Tutto risale alla legge Sella del 1874, secondo cui, per poter produrre distillati, era necessaria un’autorizzazione e soprattutto il pagamento delle tasse.
Per tutta risposta, in Sardegna si cominciò a distillare di nascosto, la notte, sia in aperta campagna che all’interno delle cantine. Per nascondere l’arma del delitto, ovvero gli alambicchi e le bottiglie, spesso si scavava nell’orto di famiglia o in campagna e si sotterrava tutto.
Per segnalare la posizione delle bottiglie veniva usato un filo di ferro, che spuntava per pochi centimetri dal terreno. Ed è da allora che s’abbardente è conosciuta anche come filu ‘e ferru, ovvero fil di ferro.
Il nome sardo abbardente deriva invece dal latino aqua ardens, ovvero acqua che brucia. Allo stesso modo l’italiano acquavite deriva dal latino aqua vitae, ovvero acqua di vita.
Storia del filu ‘e ferru
È difficile risalire esattamente a quando cominciò la produzione di acquavite in Sardegna.
I primi a parlarne furono il gesuita Francesco Gemelli, che nel 1776 scrisse:
“Di acquavite fassene grande quantità a Villa Sidro a Santu Lussurgiu e altrove”
e il magistrato di Santu Lussurgiu Francesco Maria Porcu, che nel suo “Ricordi” affermò, riferendosi al proprio paese:
“produce molto vino e quantità non indifferente se ne distilla, onde sorte un’acquavite superba che ne profonde in tutto il Regno”.
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Come si fa l’acquavite sarda?
L’apparecchio utilizzato per produrre il filu ‘e ferru è chiamato alambicco (su limbiccu).
Questo strumento è formato da:
• una caldaia, all’interno della quale saranno disposte le vinacce e l’acqua.
• Un tappo, che chiude ermeticamente la caldaia.
• Un tubo, che esce dal tappo della caldaia, dentro il quale passano i vapori.
• Una serpentina, collegata al tubo.
• Un contenitore cilindrico, riempito con acqua, per raffreddare il tutto.
All’interno della serpentina i vapori si condensano e ritornano liquidi, dando così vita al distillato.
Generalmente, sul tappo, c’è un termometro, che segna la temperatura: sotto i 78,4°, il prodotto che esce è esclusivamente alcool metilico, una sostanza molto pericolosa per l’uomo (se ingerita può causare cecità e addirittura morte).
Questa prima parte, chiamata testa, va scartata.
Tra i 78,4° e i 100° si ha il cuore del distillato (ricco di alcool etilico e di sostanze aromatiche pregiate), ovvero l’acquavite vera e propria. Il prodotto di maggior qualità esce tra gli 82° e i 96°.
Oltre i 100° si ha la coda: un prodotto con una gradazione molto leggera, dal sapore e dall’odore sgradevole, ricco di sostanze grasse e oleose. Non è dannoso, ma va scartato comunque.
È fondamentale che il tutto sia portato a ebollizione molto lentamente, per evitare che la parte finale del cuore del distillato sia “inquinata” dalla coda.
In passato, venivano costruiti alambicchi molto caserecci. All’interno della caldaia, venivano posizionati dei rami secchi, per evitare che le vinacce si attaccassero sul fondo e dessero al prodotto un pessimo sapore di bruciato. Oggi viene invece disposta una griglia in metallo.
In mancanza di altri materiali impermeabili (non deve assolutamente passare aria), si usava come tappo della caldaia una sorta di pastella a base di farina. Oggi si trovano in commercio alambicchi professionali e sicuri, d’acciaio o di rame, con diverse capienze.
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